Riceviamo e pubblichiamo:
È sotto gli occhi di tutti quanto accaduto nei giorni scorsi a seguito di un lavoro di
ristrutturazione sul lato interno del manufatto della diga della Lavagnina
e lo sarà, sinchè non si risolverà la situazione, ai tanti turisti che frequentano la zona. Siamo sul confine del Parco della Capanne di Marcarolo in un’area naturale
quotidianamente frequentata, specie nella bella stagione, da centinaia di persone.
Senza troppo preoccuparsi dei più elementari criteri di prudenza e buon senso e delle indicazioni tecniche operative imposte dall’Ente Parco nell’autorizzare i lavori, la società Iren s.p.a. ha rinviato lavori che dovevano essere effettuati entro marzo e non si è preoccupata di impedire che il fango depositatosi in decine di anni sul fondo dell’invaso si potesse sversare nei due torrenti, Gorzente e Piota, a valle della diga e apparire evidente sino a Silvano d’Orba.
L’asta dell’Orba e dei due torrenti costituisce, tra l’altro, il naturale collegamento
ecologico funzionale tra i due SIC (sito di importanza comunitaria) della Riserva Naturale
dell’Orba e del Parco Capanne di Marcarolo.
Una colata di fango ha invaso i due torrenti a valle della diga, intorbidendo le acque, coprendo rocce, piccole spiagge di ghiaia e la vegetazione ripariale più esposta, rendendo melmosi quelli che erano limpidi fondali di ciotoli e incidendo sugli equilibri dell’ittiofauna, proprio quando diverse specie sono in riproduzione e non solo di questa.
Risulta vi sia stato l’intervento dei Carabinieri Forestali, dei Guardia Parco e dell’A.R.P.A.
e, probabilmente, dalle indagini volte ad accertare se sono stati superati i limiti delle
sospensioni ammesse nelle acque durante lo scarico scaturiranno sanzioni.
Legambiente Vallemme ha inviato un esposto al ministero dell’Ambiente, a Regione,
Provincia, carabinieri forestali, Arpa e, infine, ai Comuni di Casaleggio, Lerma
e Silvano d’Orba.
La diga della Lavagnina (immagine novembre 2019)
Questo però non è sufficiente. Ovviamente non si tratta di fanghi contenenti composti chimici e la natura ripulirà col tempo quanto è stato insozzato, ma è risaputo che le acque di queste zone contengono metalli pesanti e quei fanghi ne sono probabilmente ricchi
per il lungo deposito. L’area interessata si trova al margine di un Parco Regionale
Aree Protette Appennino Piemontese, in un’area naturale incontaminata che costituisce un patrimonio comune e diffuso per il territorio, scrigno di biodiversità e, pertanto, da tutelare e proteggere con più attenzione.
L’operare in questi ambiti di grandi operatori quali l’Iren s.p.a. (ma se ne potrebbero citare
altri) dai quali ci si aspetterebbe anche un livello di intervento qualitativamente e
tecnicamente più elevato e più attento alle conseguenze, non può far abbassare la
guardia e allentare i vincoli (ma piuttosto aprire riflessioni anche in tema di rinnovo delle
concessioni).
Dopo una certa data (non importa se a causa del perdurante maltempo o dei ritardi dell’operatore) quel lavoro doveva essere rimandato alla stagione successiva e se vi erano ragioni di urgenza avrebbe dovuto svolgersi con rigorose cautele.
Ne consegue anche un’altra riflessione. Abbiamo ormai imparato che i maggiori vincoli imposti all’interno delle Aree protette sono in realtà elementari norme di rispetto dell’ambiente che sarebbe buona cosa applicare ovunque. Vivere ed operare all’interno di un parco o di un’area protetta non è un limite, ma un valore aggiunto. L’Unione europea ha nella propria agenda (COM. 2020, 380 final, del 20/5/2020) il 30% di Aree Protette terrestri e marine entro il 2030. L’Italia ha confermato questo obiettivo nel
D.M. 252 del 3/8/2023 (Strategia nazionale per la biodiversità al 2030). In Piemonte
siamo all’incirca al 18% del territorio (mentre in Italia siamo al 21%).
L’area a valle dei laghi della Lavagnina è, inoltre, conosciuta per i siti delle Aurifodi
ne e per l’antica città di Rondanaria, di epoca romana, tanto che nel Piano
territoriale provinciale l’area è individuata come di interesse archeologico.
Crediamo, pertanto, sia nell’interesse di tutti (Enti locali, Ente Parco, operatori economici dei diversi settori e semplici cittadini residenti) che si apra un procedimento concertato (che dovrebbe partire dalle nuove amministrazioni comunali appena rinnovate e diretto alla Regione) per chiedere di ampliare i vecchi confini del Parco Naturale delle Capanne di Marcarolo (o, quantomeno, per creare le previste aree contigue) e conferire maggior rilievo alle valenze ecosistemiche del territorio, noi come associazione saremo presenti e attivi.
Per Legambiente Ovadese
Giacomo Briata e Michela Sericano